Cultura
L’ultimo
azzardo
del leader
Alla direzione del Pd che dopo i risultati del referendum doveva decidere sui destini della legislatura, del governo, e di conseguenza del Paese, è andato in scena il più classico del dialogo tra sordi, tra Renzi e la sua maggioranza che ha lasciato avvertire qualche scricchiolio, da una parte, e gli avversari della minoranza dall’altra. Al di là di qualche pallido tentativo di ritorno alle buone maniere, tra gente che in molti casi non si rivolge più la parola da tempo e si parla solo attraverso interviste a giornali e tv, i due schieramenti, divisi in quattordici correnti, sono rimasti ciascuno sulle sue posizioni.
Renzi punta a far svolgere il congresso del suo partito in tempi brevi, entro aprile o maggio, per andare alle elezioni anticipate entro giugno, o al massimo settembre. Bersani ha chiesto che la legislatura arrivi alla sua scadenza naturale, in nome della necessità di dare al governo la possibilità di affrontare i più urgenti problemi italiani, e di posporre l’esigenza del Pd di rilegittimare il proprio vertice, misurando consensi e dissensi tra i propri iscritti ed elettori.
Ma poiché ridurre all’essenziale - Renzi sì o no - il dibattito interno, incarognitosi e giunto alle soglie di una scissione a meno di dieci anni dalla nascita del Pd, non sarebbe stato possibile, senza aggravare il penoso clima interno, e peggiorare in diretta tv l’immagine del più grande partito di governo, per quattro ore si è assistito a un confronto non del tutto mediocre sui destini della sinistra mondiale insidiata dal populismo arrembante, dalla destra trumpista e xenofoba vincente, dalla globalizzazione calante. Una discussione a tratti perfino interessante, per chi voglia farsi un’idea del panico e del senso di accerchiamento che accompagna una delle poche classi dirigenti di centrosinistra rimaste alla guida di un Paese importante come l’Italia, mentre tutt’attorno, dall’Inghilterra alla Francia all’Olanda, i nostri maggiori partners provano come possono a fronteggiare le proprie crisi politiche e quella più complessiva dell’Unione Europea. E una prova abbastanza esplicita - sebbene si sia trattato dell’inizio abbastanza estemporaneo di un dibattito destinato a proseguire - che anche il Pd, come quasi tutti i democratici e i socialisti nel mondo, di fronte alle sfide che tutt’insieme s’è trovato davanti non ha altre risposte che una sorta di indietro tutta, rispetto all’assunzione dì responsabilità che avevano caratterizzato le sinistre dell’inizio degli Anni Novanta, oggi guardati quasi come il momento di un grande errore e l’occasione di un tradimento delle idee e dei bisogni tradizionali del proprio elettorato. Dunque, basta mercati, privatizzazioni, liberalizzazioni delle regole del lavoro, terze vie tra capitalismo e socialismo, e via libera alle nostalgie d’altri tempi, statalismo, interventi pubblici, assunzioni (pagate con chissà quale capitolo del bilancio statale, oberato dal debito). Il tutto, coniugato con le parole-chiave del successo di Trump in America, declinate ovviamente a sinistra e nella lingua nazionale: «Prima l’Italia!» e «Protezione».
Ora, è lecito dubitare che al di là di qualche slogan elettorale - non dissimile da quelli adoperati, per perdere, dal leader laburista Corbyn in Inghilterra o dall’aspirante e sconfitto dalla Clinton candidato democratico Sanders in Usa -, queste proposte possano trasformarsi in soluzioni per i pesanti e crescenti problemi italiani. Come manifesto per una sinistra che voglia tornare all’opposizione sono perfette, e può darsi che servano anche a recuperare una parte di voti perduti, ma non la maggioranza che serve a governare. E va da sé che se questo dovesse diventare il programma del Pd, Renzi non potrebbe più esserne il leader: al dunque, questo sembra il vero obiettivo dei compagni ritrovati.
L’accelerata verso il congresso dell’ex premier, e tra qualche giorno segretario dimissionario del Pd, nasce di qui: sarà il suo ultimo azzardo, per cercare di non soccombere alle sirene del passato, di certo il più rischioso della sua recente avventura.
Marcello Sorgi