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martedì 11 settembre 2018

i populisti avanzano perché gli avversari non si uniscono contro di loro

LA STAMPA

Cultura

i populisti avanzano

perché gli avversari

non si uniscono contro di loro

Giovanni Sabbatucci

Le preoccupazioni dei democratici europei circa l’arrivo, con le elezioni di domenica, di una marea bruna destinata a sommergere la civilissima Svezia si sono rivelate, per fortuna, alquanto esagerate. Il Partito socialdemocratico ha perso qualche punto (dal 31 al 28,3%), ma ha mantenuto un primato che detiene ininterrottamente dal 1932. Il Partito «Svezia democratica» di Jimmie Akesson – populista di destra anti-immigrati con qualche traccia mai del tutto cancellata di un originario filo-nazismo – ha guadagnato il 3,7, arrivando al 17,6, ma non si può dire che abbia sfondato. Conservatori-moderati e partiti minori hanno sostanzialmente tenuto. 

Gli equilibri usciti dalle urne svedesi non sono dunque paragonabili a quelli dei Paesi dell’Est, scivolati in pochi anni alla condizione di democrazie illiberali e governati da maggioranze apparentemente inattaccabili. I numeri (fatta salva l’eccezione dell’anomalo «bi-populismo» italiano) ci rimandano piuttosto alla distribuzione delle forze che si sono affermate in questi ultimi anni nelle democrazie dell’Europa Occidentale, dove i partiti della destra nazionalista, anche dopo i recenti exploit, si collocano fra il 15 e il 25% del voto popolare: 21,3 % in Francia, 12,6 in Germania, 13 in Olanda, 21 in Danimarca, 17 in Finlandia (senza contare i neonazisti dichiarati, come Alba dorata in Grecia e Jobbick in Ungheria). Sono dati che sicuramente allarmano, anche perché si collegano in gran parte alla spinosa questione dei migranti, ma che in sé, ove restassero immutati, non dovrebbero minacciare il funzionamento della democrazia né impedire la formazione di maggioranze: del resto, se le forze anti-sistema occupano, poniamo, il 20% dello spettro politico, questo significa che il restante 80% resta, in teoria, disponibile per coalizioni di governo democratiche ed europeiste.

In teoria, appunto. Nella realtà il varo di governi di larga coalizione trova spesso ostacoli difficilmente sormontabili. Ciò accade per comprensibili differenze e diffidenze legate alle diverse matrici ideologiche, seppure ormai sbiadite, alle diverse proposte in materia di politica economica e sociale. Ma anche perché, in presenza di un rapporto di alleanza che tende a eternizzarsi, o a esaurirsi nelle vetuste retoriche frontiste, i possibili contraenti del patto temono, non a torto, di logorarsi, di perdere la loro identità, di esporsi indifesi all’attacco delle forze anti-sistema che sfruttano senza remore i vantaggi dell’opposizione irresponsabile. 

Si spiega in questa chiave la svolta che sembra delinearsi nella politica tedesca, con immediati e pesanti riflessi sull’intera scena europea. Costretta a convivere al governo con un partner socialista frustrato e insofferente, incalzata dalla concorrenza nazional-populista di Alternative für Deutschland, Angela Merkel sembra seriamente intenzionata a raccogliere i suggerimenti che le giungono dalla fronda interna al suo stesso partito, la Cdu, e più ancora da quella del partito-fratello (la Csu bavarese). La cancelliera – indicata fino a pochi giorni fa come riferimento indiscusso del fronte europeista e anti-sovranista – rinuncerebbe a opporsi frontalmente ai suoi critici e aspiranti successori; e mirerebbe piuttosto ad assecondarne le spinte, come in un match di judo, per poi assorbirle e depotenziarle, riportando il partito ai suoi originari connotati di forza moderata e ricostituendo un fronte conservatore europeo vincente in vista delle elezioni della primavera prossima. 

È una manovra classica della politica. E la storia, come è stato osservato, offre parecchi esempi in proposito: per restare all’Italia, possiamo pensare a Giolitti che cerca prima di cooptare i socialisti e poi di ammansire i fascisti (con i risultati che sappiamo). Quel che è certo però è che si tratta di operazioni ad alto rischio, che hanno qualche possibilità di riuscita solo se il traghettatore è in posizione di forza rispetto al traghettando e conserva fino all’ultimo la lucidità necessaria per tener fermi i propri obiettivi. In assenza di queste condizioni, è meglio salvaguardare le proprie posizioni, i propri valori e la propria identità, mantenere alto il livello del dibattito politico preparandosi, se necessario, a una lunga traversata nel deserto.

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