ebook di Fulvio Romano

lunedì 31 agosto 2015

Mar di Ponente, massime di 27º...



Solo Cuneo sotto i 30º.Torino massima di 33,5º

Temperature osservate

CapoluogoMinima (°C)
30/08/2015
Massima (°C)
30/08/2015
Minima (°C)
31/08/2015
Massima (°C)
31/08/2015
Grafico
TORINO18,634,617,433,5vai 
BIELLA21,632,421,431,6vai 
VERCELLI16,833,516,533,1vai 
NOVARA21,032,620,331,5vai 
VERBANIA19,333,218,029,6vai 
CUNEO19,631,719,330,5vai 
ASTI18,434,216,331,9vai 
ALESSANDRIA17,335,4

Facebook: quando credendo di parlare con altri, comunichiamo solo con noi stessi di Pino Corrias | 31 agosto 2015

Nel tempo in cui si va globalizzando tutto, compresa la disperazione dei migranti che ci parlano attraverso il loro corpo, la loro allarmante invadenza fisica, il re della più grande rivoluzione immateriale e antisociale, Mark Zuckerberg, festeggia con un miliardo di persone connesse in un solo giorno, il rumore di fondo che ci avvolge (ci scalda, ci illude) e che noi chiamiamo comunicazione interattiva, equivocandone il suo sostanziale silenzio passivo. Perché credendo di parlare agli altri, stiamo in realtà parlando con noi stessi. In una collettiva regressione infantile, verso quei giochi che giocavamo da soli, ma facendo le voci di tutti i personaggi in campo.

Facebook è un kinderheim planetario. Dentro al quale la benestante moltitudine del pianeta – quella che in questo momento non sta morendo di fame, di sete, di aids, non sta per annegare su un barcone, non si sta scannando nella macelleria di una qualche lurida guerra santa – non ha assolutamente nulla da dire, ma lo dice almeno una dozzina di volte al giorno.

Lo fa postando nella propria pagina il piatto di patatine che sta per mangiare. La bevanda colorata che ha di fronte. Il bel tramonto ad ampio schermo e il brufolo stretto nel dettaglio. Lo fa scrivendo resoconti non richiesti di vacanze andate in malora e di diete da ultimare. Di amori finiti male. Di un film da vedere, di un ristorante vegano da evitare. Di un video imperdibile dove un tizio da qualche parte in America ha appena sterminato la famiglia e ora finalmente sta per suicidarsi, appena dopo la pubblicità.

La forma che in Facebook diventa sostanza, illude chi digita i messaggi che stia per davvero comunicando qualcosa a qualcuno, ma non è quasi mai vero. Il più delle volte sta solo facendo a se stesso il resoconto millimetrico della propria solitudine. E sta usando gli altri come pretesto. Sta semplicemente dicendo allo specchio “Io sono qui”. E dicendolo dieci volte al giorno, vuole convincersi di esistere per davvero almeno in quello specchio, grazie a quella scia digitale che lo avvolge di luce. Per poi cercare il coraggio di farsi la seconda domanda, quella cruciale: “C’è qualcuno in ascolto?”

Domanda che non ha quasi mai una vera risposta, anche quando ne raccoglie cento oppure mille. Perché se chi manda una voce in rete la manda a se stesso, altrettanto fa chi risponde, quasi sempre parlando d’altro, accontentandosi di cogliere uno spunto per imprimere una nuova direzione al discorso, la sua.

Un tempo mi impressionavano i primi viaggiatori di treni e metropolitane che non alzavano mai lo sguardo verso il vicino, ma concentravano tutta la loro attenzione sulla superficie dei cellulari e dei computer che li rifornivano di immagini, suoni e compagnia. Erano sparpagliati qui e là nei vagoni, in mezzo a qualche giovane donna che inspiegabilmente leggeva ancora un libro di carta e a qualche filippino che parlava (in diretta, live) con la persona in carne e ossa che gli stava accanto. Oggi il paesaggio è uniforme, quelle giovani donne con i libri sono scomparse, i filippini sono anche loro connessi, intorno solo teste reclinate in sequenza sui bagliori dello schermo degli smartphone, nessuno che si azzardi ad alzarla.

Lo stesso accade sempre più spesso – fateci caso – al ristorante, al semaforo, dove coppie di amici o fidanzati navigano ognuno per contro proprio, insieme solo nella forma, ma separati nella sostanza. Ognuno dentro un mondo lontanissimo, il proprio.

Ma l’immaterialità che ci avvolge non è e non sarà senza conseguenze. Ci sta rendendo sempre più fragili – più stupidi e specialmente più spaesati – come lo sono quei turisti d’agenzia o da crociera che credendo di viaggiare per il mondo stanno fermi in un simulacro del mondo, protetti dall’aria climatizzata, lavati e nutriti, difesi da ogni interferenza della vita reale, fossero anche il caldo e gli insetti.

La nostra crociera dentro il mondo che non esiste, finirà prima o poi per fare naufragio contro gli scogli di quello vero. La crisi economicae i tagliatori di teste non spariranno in un clic. E nemmeno le ondate dei migranti che con i loro corpi e le loro morti atroci sono un principio di realtà che ci sorprende così tanto da credere alla scorciatoia politica dei muri e delle ruspe. E se quel giorno – mentre postiamo una ricetta o un insulto su Facebook – ci verrà addosso il mondo, toccherà affrontarlo con gli occhi di nuovo aperti e il telefonino spento. Se ne saremo ancora capaci.

Da Il Fatto Quotidiano del 30 agosto 2015 


Facebook: quando credendo di parlare con altri, comunichiamo solo con noi stessi di Pino Corrias | 31 agosto 2015

Nel tempo in cui si va globalizzando tutto, compresa la disperazione dei migranti che ci parlano attraverso il loro corpo, la loro allarmante invadenza fisica, il re della più grande rivoluzione immateriale e antisociale, Mark Zuckerberg, festeggia con un miliardo di persone connesse in un solo giorno, il rumore di fondo che ci avvolge (ci scalda, ci illude) e che noi chiamiamo comunicazione interattiva, equivocandone il suo sostanziale silenzio passivo. Perché credendo di parlare agli altri, stiamo in realtà parlando con noi stessi. In una collettiva regressione infantile, verso quei giochi che giocavamo da soli, ma facendo le voci di tutti i personaggi in campo.

Facebook è un kinderheim planetario. Dentro al quale la benestante moltitudine del pianeta – quella che in questo momento non sta morendo di fame, di sete, di aids, non sta per annegare su un barcone, non si sta scannando nella macelleria di una qualche lurida guerra santa – non ha assolutamente nulla da dire, ma lo dice almeno una dozzina di volte al giorno.

Lo fa postando nella propria pagina il piatto di patatine che sta per mangiare. La bevanda colorata che ha di fronte. Il bel tramonto ad ampio schermo e il brufolo stretto nel dettaglio. Lo fa scrivendo resoconti non richiesti di vacanze andate in malora e di diete da ultimare. Di amori finiti male. Di un film da vedere, di un ristorante vegano da evitare. Di un video imperdibile dove un tizio da qualche parte in America ha appena sterminato la famiglia e ora finalmente sta per suicidarsi, appena dopo la pubblicità.

La forma che in Facebook diventa sostanza, illude chi digita i messaggi che stia per davvero comunicando qualcosa a qualcuno, ma non è quasi mai vero. Il più delle volte sta solo facendo a se stesso il resoconto millimetrico della propria solitudine. E sta usando gli altri come pretesto. Sta semplicemente dicendo allo specchio “Io sono qui”. E dicendolo dieci volte al giorno, vuole convincersi di esistere per davvero almeno in quello specchio, grazie a quella scia digitale che lo avvolge di luce. Per poi cercare il coraggio di farsi la seconda domanda, quella cruciale: “C’è qualcuno in ascolto?”

Domanda che non ha quasi mai una vera risposta, anche quando ne raccoglie cento oppure mille. Perché se chi manda una voce in rete la manda a se stesso, altrettanto fa chi risponde, quasi sempre parlando d’altro, accontentandosi di cogliere uno spunto per imprimere una nuova direzione al discorso, la sua.

Un tempo mi impressionavano i primi viaggiatori di treni e metropolitane che non alzavano mai lo sguardo verso il vicino, ma concentravano tutta la loro attenzione sulla superficie dei cellulari e dei computer che li rifornivano di immagini, suoni e compagnia. Erano sparpagliati qui e là nei vagoni, in mezzo a qualche giovane donna che inspiegabilmente leggeva ancora un libro di carta e a qualche filippino che parlava (in diretta, live) con la persona in carne e ossa che gli stava accanto. Oggi il paesaggio è uniforme, quelle giovani donne con i libri sono scomparse, i filippini sono anche loro connessi, intorno solo teste reclinate in sequenza sui bagliori dello schermo degli smartphone, nessuno che si azzardi ad alzarla.

Lo stesso accade sempre più spesso – fateci caso – al ristorante, al semaforo, dove coppie di amici o fidanzati navigano ognuno per contro proprio, insieme solo nella forma, ma separati nella sostanza. Ognuno dentro un mondo lontanissimo, il proprio.

Ma l’immaterialità che ci avvolge non è e non sarà senza conseguenze. Ci sta rendendo sempre più fragili – più stupidi e specialmente più spaesati – come lo sono quei turisti d’agenzia o da crociera che credendo di viaggiare per il mondo stanno fermi in un simulacro del mondo, protetti dall’aria climatizzata, lavati e nutriti, difesi da ogni interferenza della vita reale, fossero anche il caldo e gli insetti.

La nostra crociera dentro il mondo che non esiste, finirà prima o poi per fare naufragio contro gli scogli di quello vero. La crisi economicae i tagliatori di teste non spariranno in un clic. E nemmeno le ondate dei migranti che con i loro corpi e le loro morti atroci sono un principio di realtà che ci sorprende così tanto da credere alla scorciatoia politica dei muri e delle ruspe. E se quel giorno – mentre postiamo una ricetta o un insulto su Facebook – ci verrà addosso il mondo, toccherà affrontarlo con gli occhi di nuovo aperti e il telefonino spento. Se ne saremo ancora capaci.

Da Il Fatto Quotidiano del 30 agosto 2015 


Ponente estremo, minime di 21 gradi...


minime tra 16,3º e 21,4º...

Temperature osservate

CapoluogoMinima (°C)
30/08/2015
Massima (°C)
30/08/2015
Minima (°C)
31/08/2015
Massima (°C)
31/08/2015
Grafico
TORINO18,634,617,4-vai 
BIELLA21,632,421,4-vai 
VERCELLI16,833,516,5-vai 
NOVARA21,032,620,3-vai 
VERBANIA19,333,218,0-vai 
CUNEO19,631,719,3-vai 
ASTI18,434,216,3-vai 
ALESSANDRIA17,335,4

Trifôle e trifôlaô aspettano la pioggia

LA STAMPA

Cuneo

I trifolao puntano sulla pioggia 

Domani scatta il periodo di tre settimane di stop indispensabile al riposo dei terreni

In Piemonte l’avvio della stagione della raccolta è previsto lunedì 21 settembre

La regola non è scritta, ma è quasi ferrea: tempo buono per le uve, tempo cattivo per i tartufi bianchi. Così, mentre i vignaioli sperano che il sole li accompagni per tutta la vendemmia, i trifolao confidano in un po’ di pioggia e mettono le mani avanti: «Se si va avanti con queste temperature, l’inizio della stagione sarà tutto in salita».

Ormai, infatti, è questione di giorni. Il via alla raccolta delle prime trifole più pregiate è previsto per il 21 settembre, al termine del consueto periodo di «black out» che scatterà domani per lasciar riposare i terreni, che prima delle piogge di Ferragosto erano sottoposti a un notevole stress idrico dovuto alla calura, come ha dimostrato la scarsissima raccolta estiva dello scorzone, il meno pregiato tuber aestivum. E sì, perché l’umidità, per un fungo ipogeo che è composto per l’80% di acqua, è un elemento fondamentale.

Centro studi

«La pioggia - spiegano gli esperti del Centro nazionale studi tartufo che ha sede ad Alba - è indispensabile per consentire al tuber magnatum pico il giusto sviluppo. Infatti, è necessario che il terreno di produzione sia umido sia nelle fasi di germinazione, sia in quella di maturazione. Solo così, dopo circa un mese si può sperare di raccogliere un buon tartufo».

Trenta fiere

Dunque, tutti a fare la danza della pioggia, compresi gli organizzatori delle decine di fiere (sono circa trenta, tra internazionali, nazionali e regionali) che rendono omaggio alle pepite del sottosuolo piemontese, diffuse in particolare tra le colline dell’Albese, dell’Alessandrino e dell’Astigiano. I trifolao impegnati nella raccolta sono oltre 5 mila, dotati di regolare tesserino regionale.

Quotazioni

Fare previsioni sui prezzi è impossibile. Solo i primi raccolti, tra tre settimane, potranno dire realmente la qualità e la quantità del prodotto.

L’ultima fase

Ma la stagione è lunga: proseguirà fino al 31 gennaio 2016 e, se arriverà qualche pioggia, ha tutto il tempo per dare buone soddisfazioni ai buongustai, anche se sarà impossibile replicare l’ottima annata 2014, con tanti tartufi e prezzi che non hanno mai superato i 250 euro all’etto. Per questo i trifolao mettono in guardia i consumatori: «Non lasciatevi attirare da chi vi propone i fioroni, i tartufi bianchi che possono nascere già in questi giorni. Non sono prodotti buoni e la loro raccolta è illegale, perché pregiudica la nascita degli esemplari migliori in stagione».

roberto fiori


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Il Tempo della Settimana. L'estate sta finendo...

LA STAMPA

Cuneo

Da domani sera

previste piogge

e fine del caldo

Finiranno da domani, con l’inizio dell’autunno meteorologico, i caldi eccezionali di un’estate che è stata seconda solo a quella del 2003. L’alta pressione di origine mediterraneo-africana che ha dominato gran parte della stagione inizia a cedere, forse in modo definitivo, proprio in queste ore di passaggio da agosto a settembre. 

Già da domani notte e poi da mercoledì torneranno prima i temporali e poi le piogge diffuse che segneranno tutto il fine settimana, con un’unica pausa soleggiata che al momento si profila per la mattinata di domenica.

La tradizione popolare attribuiva d’altronde proprio alle piogge d’inizio settembre la cifra meteo della stagione autunnale. Si celebrava un tempo Sant’Egidio, il 1° di settembre, e «Sa pieuv a sant’Egidj, a pieuv fin-a san Michèl», si sentenziava nelle campagne.

I temporali di giovedì sembravano, a loro volta, sancire il «contratto meteo» con la nuova stagione: «Del 3 d’ stember ’l trôn a firma ’l côntràt d’ôutôn». Insomma, siamo arrivati a una svolta inevitabile e saranno oltre alle piogge anche le temperature a ricordarcelo. Diminuiranno almeno di 5-7 gradi le massime e le minime torneranno verso 16°-17°, favorite in questo dalla rotazione dei venti da Sud-Ovest, verso il weekend.

romano.fulvio@libero.it

Fulvio

Romano


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Oliver Sacks il neurologo felice

LA STAMPA

Cultura


Scienziato e scrittore dotato di eleganza e humour

è morto a New York a 82 anni. Ha raccontato

i casi clinici e le proprie sperimentazioni con l’Lsd

Scrittore di fama mondiale, Oliver Sacks è morto ieri a 82 anni in un ospedale di New York. Non è una fine inattesa. Dal 19 dicembre 2005, quando gli fu diagnosticato un melanoma all’occhio destro, Sacks ci ha preparati trasformando il suo caso clinico in racconto. L’aveva fatto con le vicende di tanti pazienti che curava come neurologo, e l’aveva fatto per sé quando, dopo una caduta in montagna, aveva voluto esplorare l’inquietante patologia dell’arto fantasma: una gamba amputata (per fortuna l’incidente non fu così grave) continua a far male perché la sua rappresentazione cerebrale rimane intatta, con annesse terminazioni nervose dell’arto. 

Ma il tumore all’occhio, la malattia che con le metastasi al fegato lo avrebbe portato alla fine, era stato un colpo troppo forte. Difficile esorcizzarlo subito con la letteratura. All’inizio Sacks si limitò a un diario, una cronaca sempre provvisoria della patologia e delle cure. Nel 2007 perse la visione binoculare. Allora il mondo appiattito riuscì a diventare racconto. Accadde quando scoprì che la perdita gli aveva portato anche un dono: una sorta di visione in differita; per un bizzarro fenomeno di rallentamento neurologico poteva vedere il passato prossimo, un gesto già concluso per lui era ancora presente. Di pochi mesi fa sono l’annuncio dell’addio imminente, una autobiografia scritta alla svelta (In movimento, uscirà in Italia per Adelphi a metà ottobre) la storia di una omosessualità per trent’anni nascosta. 

La festa del bismuto

Nato a Londra il 9 luglio 1933 in una famiglia ebraica affollata come una tribù, Sacks fu un bambino curioso e lo era ancora a 82 anni. Uno zio chimico, fabbricante di lampadine a incandescenza, lo affascinò mostrandogli un lingotto di tungsteno, il metallo pesantissimo e resistente al calore usato per fare i filamenti delle lampadine. Zio Tungsteno, edito in Italia da Adelphi come tutti gli altri suoi libri, è la storia di una infanzia insieme magica e razionale all’insegna della chimica. 

Sotto l’imprinting di Zio Tungsteno, Sacks associava i compleanni al numero atomico degli elementi, che va da 1 per l’idrogeno a 92 per l’uranio (ma con i transuranici creati artificialmente siamo arrivati a 118). Ne teneva piccoli campioni sulla scrivania: i 79 anni sono d’oro, gli 80 di mercurio, gli 81 di tallio, gli 82 di piombo. Gli 83 sarebbero stati la festa del bismuto. Una Tavola di Mendeleev anagrafica, come quella di Primo Levi fu una metafora esistenziale. 

I genitori erano medici (la madre, sedicesima di diciotto figli, fu una delle prime donne chirurgo del Regno Unito). Lui da piccolo avrebbe voluto essere chimico e da vecchio fisico. Divenne medico contro voglia ma poi fu un neurologo felice. Esplorare il cervello è difficile, significa orientarsi tra 100 miliardi di neuroni e un milione di miliardi di connessioni. Oggi ci sono tecniche per guardarci dentro: la risonanza magnetica funzionale, la tomografia a emissione di positroni. Ma fino a pochi anni fa l’unico modo per capire che cosa fa questa o quella parte del cervello era studiarne speciali patologie. Sacks soffriva di prosopagnosia, la difficoltà a riconoscere i volti: la descrisse con il suo humour sottile raccontando di quando dovette incontrare per la prima volta un paziente con la stessa malattia. 

Da Londra agli Stati Uniti

Su una gamba sola nasce dall’incidente alpinistico. Straordinarie panoramiche di casi clinici sublimati in narrazioni asciutte ed eleganti sono libri come Risvegli, storia di come curò un gruppo di sopravvissuti all’encefalite letargica che poi divenne anche un film, Un antropologo su Marte L’uomo che scambiò sua moglie per un cappelloL’isola dei senza coloreEmicraniaMusicofiliaVedere vociL’occhio della mente. E quando non gli bastava la casistica incontrata come docente di neurologia all’Università della California o alla Columbia University (negli Anni 60 si trasferì in Canada e poi negli Stati Uniti), sperimentava su di sé: Allucinazioni è il risultato dell’assunzione di anfetamine e altre droghe a scopo, per così dire, scientifico-letterario, Diario di Oaxaca narra un viaggio in Messico con un gruppo di appassionati di felci, la sua grande passione, dove esalta l’aspetto dilettantistico e disinteressato che dovrebbe guidare ogni ricerca. 

La vecchiaia come svago

Risvegli, uscito nel 1973, diede a Sacks fama mondiale di neurologo ma ancora più di scrittore e divulgatore di alta classe. I libri successivi la confermarono e rinforzarono. Molti colleghi neuroscienziati non hanno perdonato questo successo e hanno liquidato il lavoro scientifico di Sacks come superficiale e privo di dati quantitativi. Qualcuno lo definì «l’uomo che confuse i suoi pazienti con la carriera letteraria», altri sentendo il suo nome domandano maliziosamente quali siano le sue pubblicazioni scientifiche davvero memorabili. Miserie umane che non lo intaccavano. 

Afflitto da timidezza patologica, una vita solitaria, Sacks cercava nella vecchiaia forza e serenità. «Mio padre, che è vissuto fino a 94 anni - scriveva sul New York Times nell’estate del 2013 - diceva spesso che il decennio tra gli ottanta e i novanta era stato tra i più piacevoli della sua vita. Percepiva, come sto incominciando a percepire io, non una diminuzione, ma un ampliamento della vita mentale e della prospettiva. (…) Riesco a immaginare, a sentire nelle ossa cos’è un secolo, e a sessant’anni non ne ero in grado. Non penso alla vecchiaia come a un momento sempre più lugubre ma come a un tempo di svago e di libertà». 

Papà Sacks avrebbe potuto festeggiare l’anno del plutonio, l’elemento transuranico numero 94. Certo a Oliver è dispiaciuto fermarsi sulla soglia del bismuto.

Piero Bianucci 



Il metano egiziano. Una nuova alleanza sull’energia

LA STAMPA

Cultura


Il Mediterraneo cambia aspetto grazie alla scoperta del mega-giacimento di gas nelle acque egiziane da parte di Eni: non è più solo teatro di tragedie di immigrati e sanguinosi atti di terrorismo ma anche palcoscenico di opportunità di sviluppo collettivo. Gli 850 miliardi di metri cubi di gas naturale, in appena 100 kmq di spazio marino del «Zohr Prospect», descrivono il più grande campo di questo tipo finora scoperto fra Gibilterra ed il Bosforo. E le ricadute sono di portata strategiche.

Anzitutto per l’Egitto di al-Sisi, il gigante del mondo arabo giunto alla soglia dei 90 milioni di abitanti, aggredito dal terrorismo jihadista e assediato da povertà, carenza d’acqua e di energia. Dopo il summit economico di Sharm el-Sheikh, a metà marzo, Eni firmò accordi con investimenti per 5 miliardi di dollari accettando la scommessa del Cairo di esplorare lo spazio off-shore. Cinque mesi dopo Descalzi consegna ad Al-Sisi la possibilità di emanciparsi nei decenni a venire da una dipendenza energetica talmente assillante da averlo obbligato a firmare, appena 72 ore fa a Mosca, un non facile accordo con i russi di Rosneft sulla fornitura di gas liquido. 

Al-Sisi ritiene che la possibilità di ricostruire l’Egitto, sopravvivendo alla morsa jihadista, si lega alla miscela fra nazionalismo e crescita del benessere collettivo messa in mostra con l’inaugurazione del raddoppio del Canale di Suez. Da qui il valore del giacimento «Zohr Prospect», anche per arginare Isis in Nordafrica.

Le opportunità per l’Italia sono altrettanto strategiche. Il nostro approvvigionamento energetico è legato alle forniture dalla Russia e Nordafrica, ostacolate dalle guerre civili in Ucraina e Libia, e la scoperta egiziana significa poter disporre di una valida alternativa. Una sorta di «Libia 2». Il recente sequestro di quattro tecnici italiani nei pressi del terminal energetico di Mellitah, in Tripolitania, ha per la prima volta portato una minaccia diretta all’hub logistico da cui passa gran parte del gas nordafricano che arriva in Sicilia. E’ un campanello d’allarme sui rischi portati dalla crisi libica alla sicurezza energetica di 60 milioni di italiani a cui ora si affaccia una possibile risposta nel Mediterraneo Orientale, anche perché alla scoperta di Eni in Egitto si somma l’interesse di Edison per due giacimenti del gas naturale israeliano: Karish e Tanin. Se a ciò aggiungiamo il gas naturale cipriota, non è difficile arrivare a tratteggiare un’area di fonti energetiche gestita da Paesi legati all’Occidente e con relazioni amichevoli fra loro. E’ la possibile genesi di un network di interessi alternativo a quelli che attraversano aree di crisi endemica, Stati falliti o Paesi a noi ostili. Non è un caso che, durante la cena a Palazzo Vecchio nella Sala delle Udienze già luogo di lavoro di Machiavelli, il premier Matteo Renzi abbia anticipato all’ospite israeliano Benjamin Netanyahu l’annuncio di Eni arrivato puntuale la mattina seguente. I giornali egiziani avevano tratteggiato la notizia quello stesso giorno e non si trattava dunque di una rivelazione. Ma fonti israeliane, presenti alla cena, si soffermano sulla comune valutazione positiva di Renzi e Netanyahu in merito al «Zohr Prospect» perché l’interesse è coincidente: se per l’Italia significa differenziare le fonti energetiche, per il premier di Gerusalemme è un’arma preziosa da adoperare al fine di accelerare in patria la liberalizzazione del mercato del gas. Non a caso il ministro dell’Energia, Yuval Steinitz, si è affrettato a far sapere al Parlamento che «mentre noi perdiamo tempo nella definizione dell’assetto regolatorio, il mondo intorno a noi sta cambiando». Ovvero, liberalizziamo in fretta, superando il duopolio Noble Energy-Delek nella gestione del gas naturale off-shore di «Leviathan» e «Tamar» davanti a Tel Aviv e Haifa, prima che gli egiziani ci rubino clienti e mercati dall’Europa alla Giordania fino all’Africa. La convergenza di interessi fra Renzi, Al-Sisi e Netanyahu sull’energia, consolidata dalle intese con Grecia e Cipro, suggerisce la possibile genesi di un club di Paesi del Mediterraneo dotati di alta tecnologia e risorse naturali, dunque capaci di dare vita ad un polo energetico alternativo ai colossi di Mosca e del Golfo. Consegnando al Mediterraneo un imprevisto ruolo di protagonista di una formula di sviluppo economico capace di generare risposte efficaci alle sfide dell’emigrazione di massa e del terrorismo islamico.

Maurizio Molinari


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Eni scopre giacimento in Egitto “Il più grande del Mediterraneo

LA STAMPA

Economia

Fornirà gas per molti anni grazie a riserve per 850 miliardi di metri cubi 

L’Eni ha scoperto in Egitto il tesoro di Ali Babà: un enorme giacimento di metano nelle acque territoriali di quel Paese con 850 miliardi di metri cubi di gas, corrispondenti a circa dodici anni di consumo italiano, o a decenni di consumo egiziano. Considerando poi che in corso d’opera si scopre spesso che c’è il doppio o il triplo di quanto stimato all’inizio, l’Eni parla di «un evento di rilievo mondiale». E si tratta di un evento di valore doppio per l’azienda perché il gas è stato scoperto dove il permesso di esplorazione e sfruttamento è detenuto dalla società italiana al 100%, mentre di solito, per dividere il rischio, si collabora con uno o più soci. Stavolta l’Eni ha rischiato un po’ di più e adesso l’incasso è tutto suo. 

Anche gli osservatori neutrali parlano di evento eccezionale: il «Wall Street Journal» scrive che si tratta della «più grande scoperta mai fatta nel Mediterraneo orientale». E il premier Matteo Renzi si è congratulato «per l’importante ritrovamento».

L’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, è volato di persona al Cairo per aggiornare il presidente egiziano Al-Sisi e il suo governo. Il numero uno del gruppo aveva annunciato a Londra, all’inizio dell’anno, la strategia di concentrare le ricerche di petrolio e di gas in zone limitrofe a quelle dove Eni ha già fatto scoperte (come l’Egitto), in modo da usare strutture presenti già in loco e abbassare i costi di esplorazione e di sviluppo a cifre compatibili con l’attuale periodo di prezzi bassi degli idrocarburi. Comunque i prezzi bassi non dureranno per sempre e quando ci sarà il rimbalzo il gruppo italiano avrà avuto tempo e modo i sviluppare questo e alcuni altri giacimenti di recente scoperta nel mondo.

La scoperta in acque egiziane è avvenuta in un punto esplorativo denominato Zohr, a 1450 metri di profondità d’acqua. Sommando l’acqua e il fondale, il pozzo Zohr è stato perforato a 4.131 metri di profondità complessiva. Le trivelle hanno incontrato uno strato di idrocarburi dello spessore di 630 metri. Ma non è finita qui: «La struttura di Zohr presenta anche un potenziale a maggiore profondità - dicono i tecnici dell’Eni - che sarà investigato in futuro attraverso un nuovo pozzo». E così gli 850 miliardi di metri cubi potrebbero diventare molti di più. 

Al di là della scoperta in sé, è interessante valutare quali possano essere gli sviluppi di sistema. Già nei colloqui dell’altro giorno fra il premier israeliano Netanyahu si era ipotizzata la costruzione di una rete di gasdotti sottomarini che connettano la zona dei giacimenti di gas del Mediterraneo orientale non solo con i territori di Israele, Cipro ed Egitto ma anche con la Grecia e quindi (attraverso il gasdotto Tap, cioè Trans Adriatic Pipeline) con l’Italia e l’Europa tutta. Non si tratterebbe di costruire solo una linea che va da un punto a un altro punto ma di realizzare una rete flessibile, capace di gestire tutto il transito del gas euro-mediterraneo, indirizzandolo di volta in volta dove c’è più domanda, e facendo da compensazione anche a eventuali carenze dell’offerta in arrivo dalla Libia o dalla Russia.

In alternativa, un piano meno faraonico consisterebbe nel convogliare il gas del Mediterraneo orientale verso le strutture dell’Eni sulla costa egiziana, e qui liquefare il metano e poi trasportarlo su nave verso i rigassificatori italiani. In un caso o nell’altro, ci sarà da stendere moltissimi tubi sottomarini, attività in cui è leader la Saipem del gruppo Eni.

luigi grassia


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Il business dei rifiuti della Liguria. Ora Torino vuole l'ecotassa.

LA STAMPA

Italia

La Liguria dipende dal Piemonte

ma ora Torino vuole l’ecotassa

Venti euro in più a tonnellata. La giunta Toti studia una nuova filiera

La Liguria è un cliente fisso del Piemonte dal 2014: nei mesi scorsi si è fatta viva anche la Valle d’Aosta. La Lombardia si è prestata a dare una mano alla Liguria, che ha chiesto aiuto anche ad Emilia e Toscana, solo per il tempo necessario a gestire gli effetti dell’ultima alluvione. Si potrebbe continuare.

In Italia, e dall’Italia all’estero, è un andirivieni di rifiuti, prevalentemente su gomma: prodotti da regioni che non sono in grado di smaltirli, del tutto o in parte, e da queste girati a quelle che dispongono di inceneritori e/o discariche e/o impianti di trattamento. Una scelta obbligata per le prime, un business per le seconde. Più in generale, la fotografia di un Paese a due velocità al quale il governo intende rimediare con il decreto “Sblocca Italia”: prevede l’aumento della capacità di produzione di energia (quindi di smaltimento) degli inceneritori già operativi e la costruzione di una nuova rete di impianti. Tra le resistenze di chi non li vuole, ovviamente. Non solo comitati di cittadini: la Regione Piemonte, nella persona dell’assessore all’Ambiente Alberto Valmaggia, ha già avvertito che l’inceneritore torinese del Gerbido e il cementificio Buzzi a Robilante, nel Cuneese, soddisfano il fabbisogno («Lo dimostreremo con i numeri»). Claudia Maria Terzi, assessore all’Ambiente nella giunta Maroni, ricorda che la Lombardia ha impugnato l’articolo 35 del decreto: «Siamo contrari ad accogliere i rifiuti di altre Regioni».

Non è il caso del Piemonte. Nel 2014 la Liguria - orfana della discarica di Scarpino, a corto di volumetrie nelle altre discariche, priva di inceneritori e di impianti di trattamento dell’organico, con una raccolta differenziata che viaggia su una media minimale del 33% - ha conferito al Piemonte 50 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati. Quest’anno ne porterà 149 mila al prezzo di 110 euro a tonnellata, più il costo del trasporto: quasi 86 mila tonnellate sono già state trasferite nel primo semestre. Un fiume di denaro per i bilanci delle aziende piemontesi della filiera dei rifiuti. Da settembre anche per quello della Regione Piemonte, orientata ad applicare l’ecotassa - sulla falsariga della Lombardia - per la quota di pattume che finisce all’inceneritore del Gerbido: «Si può arrivare a 20 euro a tonnellata – calcola Roberto Ronco, funzionario dell’assessorato all’Ambiente -, soldi per investimenti in campo ambientale». 

Ne sa qualcosa Giacomo Giampedrone, assessore all’Ambiente della giunta guidata da Giovanni Toti, costretto a pagare per smaltire i rifiuti liguri nel vicino Piemonte: parte finiscono al Gerbido, parte nelle discariche subalpine. «Per noi il Piemonte è l’interlocutore quasi unico, purtroppo sono soldi che togliamo ai nostri cittadini - spiega l’assessore -. Tra l’altro, esportiamo rifiuti indifferenziati: quindi di pessima qualità». Come se ne esce? «Dobbiamo partire praticamente da zero. La discarica di Scarpino, di vecchia concezione, non riaprirà a breve. L’obiettivo, entro il 2017, si articola in tre fasi: imporre ai Comuni sotto i 15 mila abitanti una raccolta differenziata spinta, al 65%; aprire un impianto di trattamento dell’organico in ogni provincia, così da abbattere del 50% la produzione; trovare un partner regionale per le eccedenze». Obiettivo non da poco, dato che un impianto di trattamento costa tra 5 e 8 milioni. 

La panoramica fornita da Legambiente - convinta che il problema, a livello nazionale, si risolva non con un’iniezione di inceneritori ma puntando sulla raccolta differenziata e su una rete capillare di impianti di trattamento dell’organico - allarga il perimetro del traffico del pattume. «Le difficoltà della Liguria e persino della Valle d’Aosta dimostrano che c’è un Sud anche al Nord – spiega Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente -. Ma la Liguria non è un’eccezione. Roma, dove da due anni ha chiuso la discarica di Malagrotta e con una differenziata al 40%, smaltisce rifiuti indifferenziati in provincia di Forlì. Non solo. Ogni giorno dalla capitale partono 160 camion carichi di organico diretti agli impianti di digestione anaerobica di Este e Maniago, in provincia di Padova e Pordenone. La Campania, dal 2002 priva anche delle discariche di Tufino e di Parapoti, convoglia tutto quello che può nell’inceneritore di Acerra. Per il resto, si appoggia prevalentemente alle discariche della Puglia e, per l’organico differenziato, agli impianti di Salerno e del Nord Italia». Quanto alla Calabria, «quello che eccede rispetto alla capacità di smaltimento dell’inceneritore di Gioia Tauro prende la strada degli impianti di trattamento di Toscana e Campania». 

Un business per le Regioni e per le aziende delle Regioni che ospitano i rifiuti altrui, ma anche per chi li trasporta. «Parliamo di un comparto che da anni campa su questi trasferimenti, con le luci e le ombre del caso – conclude Ciafani -. Ci sono tutte le condizioni per cui a molti convenga che le cose vadano avanti così». 

alessandro mondo


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