ebook di Fulvio Romano

venerdì 2 ottobre 2015

Scegliere tra Spagna e Catalogna? Tre su quattro vogliono tutte e due

LA STAMPAweb

Esteri


La maggior parte dei catalani sogna un federalismo “alla scozzese”
Molti usano l’arma secessionista per avere più libertà da Madrid

Il catalano è un europeo mediterraneo del Sud, che vive nel Nord della Penisola Iberica. È molto azzardato andare oltre nella definizione, perché ci sono tante tipologie di catalani, quanto il numero dei catalani stessi: qualcosa in più di 7 milioni. 
Dice lo stereotipo che si tratta di gente laboriosa e tenace, e questo è il risultato della storia. Prodotto paradossale di una terra di magri raccolti, che costringe ad aguzzare l’ingegno. E che da secoli ha favorito il commercio marittimo, legato a Pisa, Genova o Venezia, una potente, ma endogamica rivoluzione industriale e del sapere. 
Sostiene la leggenda che i catalani siano risparmiatori e amici del denaro («l’avara povertà dei catalani», così ci tacciava Dante), ma questo pseudo-Luteranesimo si spiega in contrapposizione ai connotati storici degli spagnoli di matrice castigliana: la passione militare verso il potere e la politica. 
Tutta questa attenzione per l’economia si mischia a quella per l’arte, egualmente ostinata, anche se meno intensa di quella italiana: dal romanico al gotico, dal modernismo di Gaudí alle avanguardie tra le due guerre (Joan Miró, Salvador Dalí, il giovane Picasso). E più recentemente: l’industria editoriale, Tàpies e la Fura dels Baus. 
L’orgoglio nazionale afferma che i catalani siano più liberali, europeisti e cosmopoliti del resto dei loro concittadini spagnoli. In effetti qui da molto tempo non comandano i reazionari: in passato ci sono stati estremisti, compresi rivoluzionari e anarco-sindacalisti, ma ha prevalso una classe media lavoratrice progressista, sebbene con accenti conservatori. Qualcosa, forse, di non troppo diverso dalle tracce che i secoli hanno lasciato nella società piemontese e lombarda. Dice la psicologia sociale e la letteratura di costume che il catalano è un tipo strano, diviso tra il «seny», uno strano miscuglio borghese di buon senso e prudenza, e la «rauxa», l’indignazione, l’impeto, una deriva romantica e dissennata. 
Meticci e bilingui
Bilingui nella vita quotidiana, meticci per invasioni militari e per le ondate migratorie, orgogliosi della loro cultura (molto plurale) e della loro (infausta) storia, i catalani agiscono da europei medi, con il tipico e irritante complesso di inferiorità (i catalani verso gli spagnoli, gli europei verso gli americani), occultato da un senso di superiorità economica: come molti italiani a Nord del Po nei confronti del Mezzogiorno o come troppi tedeschi verso i greci. 
Nazione piccola e moderna (la Catalogna) all’interno di una più grande (la Spagna). I catalani vivono da troppo tempo sequestrati da due opposti nazionalismi. Da una parte quello centralista, che alla morte di Franco ha saputo comprendere le differenze, favorendo un’autonomia che ha concesso forti poteri di autogoverno. Ma che poi ha recuperato, con l’estremismo di José María Aznar, uno spirito uniformatore, monolinguistico, un neocentralismo con un futuro impossibile e un presente asfissiante. 
Dall’altra parte, c’è il nazionalismo catalano, che davanti alla crisi si è fatto più radicale e ha convogliato tutte le sue responsabilità verso «MadriT» (con la T), un nemico comune, radice di tutti i mali, utilizzando il «catalanismo» di fondo e le (sempre positive) mobilitazioni di piazza. Un movimento che è diventato così, in gran parte, indipendentista. Tuttavia, va considerato un fatto: molti elettori secessionisti lo sono solo per ragioni tattiche, con lo scopo di spaventare Madrid e costringerla a migliorare lo status politico della Catalogna. In mezzo, vittima di questo doppio sequestro, c’è una maggioranza sociale, (politicamente mal organizzata), il 75% della popolazione, che dichiara nei sondaggi un’identità plurale, tanto catalana, quanto spagnola. Molti di questi cittadini optano per l’autonomia e per il federalismo «alla scozzese», ma dovranno faticare e sperare nella fortuna se vogliono che il «seny» riformista si dimostri una scommessa migliore rispetto alla «rauxa» separatista.
Xavier Vidal-Folch