ebook di Fulvio Romano

domenica 31 agosto 2014

Culicchia: il primo Mac non si scorda mai

LA STAMPA

Cultura

Il primo Mac

non si scorda mai

Più che una macchina, uno stile di vita

Arrivato sul mercato trent’anni fa,

apriva a tutti la Terra Promessa dei computer

«Orwell was an optimist» è scritto in sottili caratteri bianchi su una spilletta color blu comprata una trentina d’anni fa al mercato di Portobello Road, Londra, quando ancora non possedevo un computer e 1984 era uno dei libri che mi ero infilato nello zaino al momento di partire per il mio primo soggiorno nella capitale britannica. Non sapevo, scendendo all’aeroporto di Heathrow, che in quello stesso momento al di là dell’Atlantico un’azienda di nome Apple stava per mettere in commercio il primo Mac.

Lo battezzò ufficialmente Macintosh 128K, ed era figlio di un progetto inizialmente curato da Jef Raskin, l’esperto di interfacce convinto di poter realizzare un computer facile da usare e con un costo inferiore a 1.000 dollari. Di sicuro non potevo prevedere che trent’anni più tardi avrei scritto le righe che state leggendo proprio su un Mac, ovviamente di nuova generazione e leggero, argenteo, portatile: diversissimo da quel suo antenato beige che pur elegante e kubrickiano poteva ricordare ai più cinici tra i detrattori – non mancano mai – un ibrido tra uno scatolone e un televisore, ma con lo stesso identico Dna. Però ricordo bene come all’epoca si parlasse anche nei pub dalle parti di World’s End di un futuro nemmeno tanto lontano in cui in linea di massima tutti avremmo avuto in casa un computer, e non saremmo più stati capaci di farne a meno. Il che mi pareva assai inquietante e assolutamente in linea con le tesi del romanzo distopico di George Orwell.

Ecco: sono passate esattamente tre decadi da quando la ditta creata da Steve Jobs – che nel 1980 prese il controllo del progetto di Raskin, estromettendo quest’ultimo dalla Apple – ha immesso sul mercato il primo computer con un sistema operativo Mac OS, e di fatto ha cambiato il mondo. Non solo o non tanto perché da quel primo Macintosh si è poi arrivati ai suoi numerosissimi eredi e di conseguenza anche ai vari iMac, iPod, iPad e iPhone, alzi la mano chi non ne possiede almeno uno o comunque non ne ha mai sentito parlare, ma perché grazie alla sua interfaccia grafica quel capostipite della celeberrima stirpe di computer ha permesso a milioni di persone del tutto digiune di informatica di premere un pulsante, quello dell’accensione in alto a destra, per poi veder comparire una «scrivania», con tanto di «icone» sullo schermo e un «cestino» sottostante.

Già. Perché quel primo Mac, basandosi su un’interfaccia Wimp – acronimo di Windows, Icons, Mouse e Pointer - aveva dalla sua un’intuizione geniale: semplificare al massimo l’uso del computer, rendendolo intuitivo proprio in seguito all’introduzione delle icone ideate dalla designer Susan Kare, autrice tra le altre cose dei font Geneva e Chicago e del famoso Mac felice, il computer sorridente che per quasi vent’anni ha accolto gli utenti Macintosh, salvo poi essere sostituito dalla mela che rappresenta il logo dell’azienda. Grazie al nuovo sistema operativo e al talento grafico della Kare, che a dire il vero ben presto lasciò l’azienda di Cupertino, chiunque poteva avvicinarsi alla Terra Promessa dei computer senza aver mai fatto un corso di informatica: oltre alla scrivania e al cestino, altre metafore facilitavano le cose ai neofiti, a cominciare dalle finestre e dagli appunti, per tacere naturalmente del mouse, destinato tra l’altro a introdurre nel linguaggio corrente la parola «cliccare».

Per la prima volta nella storia, quella macchina complessa che fino ad allora era stata riservata a studiosi e professionisti si rivelò in grado di farsi comprendere a colpo d’occhio, dialogando con il resto dell’umanità per mezzo di semplici elementi visivi. Elementi che bastava «trascinare» col mouse per spostarli attraverso la scrivania o volendo nel sopraccitato cestino, così da cancellarli (ma non definitivamente, a meno di non «svuotare» il cestino medesimo).

Il primo Mac128K venne messo in vendita il 24 gennaio 1984, e per portarselo a casa bisognava sborsare 2495 dollari. Il fatto che non prevedesse una ventola comportava va da sé il surriscaldamento piuttosto rapido del computer. Quanto alla velocità, beh, meglio soprassedere: il 128K disponeva di un’unica unità floppy, non aveva un hard disc interno e conteneva poca memoria, tutte cose che contribuivano a farlo somigliare a una sorta di trattore da tavolo. Non a caso, se all’inizio di quell’anno da un punto di vista commerciale la risposta fu a dir poco entusiastica, alla fine del 1984 se ne vendevano meno di 10 mila esemplari al mese. Come si è detto, tuttavia, il suo lancio aveva ormai dato inizio a un mutamento irreversibile. Per dire: è col Mac che vedono la luce programmi come Word ed Excel, pensati dalla concorrente Microsoft di Bill Gates appositamente per gli utenti della Apple. Ma non si tratta solo di prodotti specifici e segmenti di mercato. Non a caso, Steve Wozniak, co-fondatore della Apple con Steve Jobs e di fatto inventore del personal computer, ebbe a dire un giorno che «il Macintosh è più di un computer: è uno stile di vita». Affermazione che, oggi lo sappiamo per certo, non era affatto azzardata.

E insomma: in quello stesso 1984, Al Bano e Romina Power vincevano il Festival di Sanremo con Ci sarà. Il governo Craxi aboliva la scala mobile e stipulava un nuovo concordato con la Santa Sede, grazie al quale la religione cattolica non sarebbe più stata considerata religione di Stato. In Canada moriva Gaëtan Dugas, prima vittima dell’Aids. A Milano veniva fondata la Lega Lombarda, poi Lega Nord. Pietro Longo, segretario del Psdi, dava le dimissioni da ministro del Bilancio perché il suo nome risultava tra gli iscritti alla P2. Enrico Berlinguer invece moriva in seguito a un’emorragia cerebrale, e al suo funerale partecipavano due milioni di persone. Tra i carcerati più o meno illustri di quell’anno: Mamma Ebe e Michele Sindona. Con un apposito decreto, Craxi consentiva alle reti televisive di Berlusconi di riprendere le trasmissioni, oscurate per pochi giorni dai pretori di Roma, Torino e Pescara. In India si verificava l’incidente di Bhopal. In Italia, la strage del Rapido 904. Tutte cose di cui in molti avremmo perso le tracce, se non fosse che nelle nostre case disponiamo di un computer. Facile da usare. Con un costo inferiore a 1000 dollari. «Orwell was an optimist» è scritto sulla mia spilletta comprata a Londra nel 1984. Jef Raskin, e con lui Steve Jobs e Steve Wozniak, sono stati invece a ben vedere solo dei realisti con i piedi ben piantati nei sogni, se mi è consentito parafrasare malamente il caro vecchio insuperabile Ennio Flaiano.

Giuseppe Culicchia


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