ebook di Fulvio Romano

venerdì 15 agosto 2014

Banana Yoshimoto: il tesoro dei riti, una porta aperta sull'infinito

LA STAMPA

Cultura

Banana Yoshimoto

“Ho riscoperto il tesoro dei riti

Una porta aperta sull’infinito”

In Andromeda Heights la scrittrice giapponese racconta

di una ragazzina cresciuta da una nonna guaritrice

Il distacco orientale riscoperto attraverso la cerimonia del tè, appresa da bambina sotto gli occhi vigili e affettuosi delle nonna, e i cazzotti sul ring, la sua ultima passione sportiva. E’ il ritorno di Banana Yoshimoto, forse la più occidentale fra le scrittrici giapponesi, che ora, nel suo ultimo romanzo, ha deciso di andare a fondo nelle radici della sua cultura. Dalla conciliazione con la Natura e da un difficile periodo di vita personale, è natoAndromeda Heights, da poco pubblicato in Italia da Feltrinelli. Un viaggio all’indietro, un racconto d’iniziazione e di formazione, attraverso il personaggio di Shizukuishi, ragazzina accudita dalla nonna guaritrice. Cresciuta nell’idillio della natura del Giappone profondo, fatto di contemplazione delle piante e delle stelle, Shizukuishi si troverà da sola ad affrontare un tragitto tormentato, e a inventare un suo particolare modo, anticonvenzionale, di esistere e di esserci, come in fondo lo è quello di Banana Yoshimoto.

Tradizione, famiglia, modernità: ha trovato una soluzione per farle coesistere? «C’è un notevole distacco fra giovani e anziani nel Giappone di oggi, purtroppo. Un tempo si viveva insieme nella stessa casa con i nonni. I ragazzi assistevano alla morte degli anziani e, in questo modo, facevano esperienza del trapasso dei familiari. Ascoltavano i loro racconti, apprendevano che le persone, pur con il trascorrere del tempo, continuavano a crescere con loro ed erano in grado di trasmettere loro una quantità di saperi preziosi. In questo romanzo ho voluto testimoniare come sia un peccato perderli». E nel mondo occidentale pensa che questi valori si siano completamente perduti? «Ho partecipato molto spesso a incontri durante l’ora del tè in Italia. Una pausa meravigliosa. Subito dopo arriva l’ora dell’aperitivo, che trovo un rito affascinante: in Giappone non esiste questo genere di piacere, voglio dire quello di sorseggiare vini accompagnati da appetizer, olive, capperi… Ma certamente i due riti hanno un valore diverso in Italia e in Giappone. Più che la necessità di recuperare questo tipo di valori in sé, considero che sia positivo il fatto di mantenere le tradizioni, possibili alternative ai modi contemporanei di trascorrere il tempo». E’ importante preservare i riti? «Dipende. Nel caso in cui qualcuno debba esprimere ritualmente un moto dello spirito, penso sia bene seguire una certa ritualità. Questo perché si tratta di una modalità espressiva più regolata, e penso che aiuti nell’espressione dei sentimenti e delle emozioni». «Costruiamo una casa sopra le nubi, accanto al cielo». Quali elementi dovrebbero «comporre» questo rifugio ideale? «Nella cerimonia del tè è importante la cura e la dedizione di chi prepara la bevanda, come fa la nonna di Shizukuishi ed è una metafora dell’esistere. Intendevo sottolineare la necessità di costruire il nostro ambiente, la nostra famiglia, nel nostro cuore. Solo così questa casa può durare, sconfiggere il tempo che passa». Qual è la concezione del tempo giapponese? «Dipende dalle persone; penso però che a dispetto di ogni cliché, secondo cui la civiltà orientale sia quella della lentezza per eccellenza, il tempo in Giappone passi troppo in fretta e che sia la società come è stata concepita ad imporre questa concezione. Per quel che riguarda la capacità di accettare il destino condizionato da cataclismi o da repentini mutamenti climatici, penso che gli asiatici siano più adattabili. Io ad esempio ho iniziato a scrivere questo mio ultimo romanzo all’indomani del terribile terremoto del 2011». Quali sono i doni della Natura che l’uomo deve saper accogliere con umiltà? «Penso che il corpo umano faccia parte della Natura. Molto probabilmente, il fatto di essere coscienti di noi stessi ci permette di essere umili nei confronti della Natura stessa che è grandiosa. Ma penso che la montagna viva secondo leggi sue proprie. Mi pare che questo possano capirlo solo quelli che amano passeggiare lungo i sentieri montani. Per questo io, che sono all’oscuro di tutti questi segreti, continuo a esserne profondamente affascinata». I suoi personaggi sono spesso soli. La solitudine genera mostri? «Sì. Qualsiasi persona, quando è troppo sola, può perdere il suo equilibrio interiore e la sua mente generare mostri più reali della realtà stessa».

Chiara Clausi