ebook di Fulvio Romano

domenica 20 luglio 2014

Luciano Canfora, 72 anni, 150 libri, migliaia di saggi, i segreti di una produttività straordinaria

LA STAMPA

Cultura

Luciano Canfora

Da Tucidide

a Marx

che gioia il lavoro

150 libri, un migliaio di saggi brevi e tanto altro:

i segreti di una produttività straordinaria

Circa 150 libri pubblicati dal 1968 a oggi, sugli argomenti più disparati, quasi un migliaio di saggi su riviste specialistiche («Ma non ho di mira cifre tonde o altri simili traguardi puerili: sarebbe antitetico al piacere della ricerca»). E poi gli articoli sui giornali, e gli interventi ai convegni in giro per l’Europa. E naturalmente gli incarichi universitari: professore emerito nella sua Bari, dove ha insegnato per una vita, professore a contratto di Filologia classica nella stessa Bari e a Bologna (un semestre di qua, un semestre di là), rettore vicario e direttore del dipartimento di Storia a San Marino. E gli incarichi nelle riviste: direttore responsabile dei Quaderni di Storia, nel comitato direttivo di Limes, Les Etudes ClassiquesAnabases,Filosofia dei Diritti Umani/Philosophy of Human Rights. E la curatela delle collane editoriali: «La città antica» per Sellerio, «Paradosis» per Dedalo, «Agones» (con Guido Avezzù) per Antenore, «Historos» per Sandro Teti, «Ekdosis» per Edizioni di Pagina.

Professor Canfora, chi è per lei Stakanov? «Un minatore del distretto minerario del Don, premiato per un’eccezionale prestazione nella sua attività lavorativa. Diventò un simbolo utilizzato dal governo sovietico per incrementare la produttività. Un modello che può considerarsi antitetico rispetto alla degenerazione del cosiddetto “pensiero dell’Autonomia” (1977 e dintorni) che esaltava l’etica del non lavoro e nella conquista del non lavorare faceva consistere il comunismo. Un’interpretazione fanciullesca, assimilabile agli ingenui miti dell’età dell’oro (alberi che producono spontaneamente il nutrimento ecc.), come nel racconto diodoreo relativo a Giambulo (Biblioteca storica, libro II). Sul tema della “gioia del lavoro” come valore positivo della tradizione socialista, invece, vorrei ricordare il bel libro di Henri De Man, tradotto da Laterza negli Anni Trenta, contenente una serie di testimonianze di lavoratori molto interessanti». Dunque lei si considera uno stakanovista. «No, se per stakanovismo si intende la coercizione al molto lavorare».

Il lavoro come gioia, il piacere della ricerca. A 72 anni, Luciano Canfora non cambia. Anche in questo 2014 è partito forte. Tre titoli nuovi: La crisi dell’utopia (Laterza), La maschera democratica dell’oligarchia (in dialogo con Gustavo Zagrebelsky, ancora Laterza), Gli antichi ci riguardano (il Mulino). Più una riedizione con nuova appendice di 1914 (Sellerio), più un volume uscito in Francia, a cura di Laurent Calvié, dal titolo La fabuleuse histoire du faux papyrus d’Artémidore (Anacharsis), che raccoglie e rielabora con una nuova introduzione alcuni dei suoi scritti sul famigerato papiro, oggetto di una clamorosa guerra filologica sulla questione dell’autenticità.

A proposito, come sta Artemidoro? «Artemidoro? Requiescat in pace…». Ma l’impressione è che se all’antico geografico efesio sarà concesso un po’ di relax, chi invece non ha nessuna intenzione di riposare è proprio l’accanito professore barese, che all’argomento ha dedicato negli ultimi otto anni una produzione torrenziale e multilingue, e che prima o poi tornerà a sollevare le paratie della diga.

Paratie che peraltro sono sempre in movimento. Qual è stato l’anno record? Il professore deve pensarci un po’. «Credo il 2008, con Il papiro di Artemidoro (Laterza), 1956. L’anno spartiacque (Sellerio), Filologia e libertà (Mondadori), Wie kann das ein Artemidor-Papyrus sein? Ma come fa a essere un papiro di Artemidoro? (Edizioni di Pagina), Storia della letteratura greca (nuova edizione nella “Biblioteca storica” Laterza), La storia falsa(Rizzoli)».

Convinto fautore di un approccio multidisciplinare, Canfora spazia con stupefacente dottrina tra temi diversissimi, dall’antichità greca e romana a quella bizantina, dalla storia moderna a quella contemporanea (con un occhio di riguardo per le vicende del comunismo italiano), dalla filologia e dalla letteratura classica alle questioni di metodologia storiografica, all’attualità politica. Qual è il filo che tiene insieme tanti interessi? «Penso che il cosiddetto “antichista” sia purtroppo soprattutto uno studioso ignorante di quel che è accaduto dopo. Ancora più frequente, e forse più grave, è il fenomeno contrario: il cosiddetto “modernista” che si sente autorizzato a non sapere né capire quel che è avvenuto prima. Ho sempre propugnato l’unità della conoscenza storica, dando per assodata, naturalmente, l’inevitabilità dei limiti soggettivi. Ma se si rinuncia a priori allo sforzo di una più vasta comprensione e conoscenza, la partita è persa in anticipo. Nella gloriosa Germania guglielmina esistevano prestigiose cattedre di storia: e nessuno avrebbe rimproverato al grande Eduard Meyer di essere un tuttologo. Esistono innumerevoli strade di accesso per chi voglia praticare questa idea di storia totale. Per me al centro sono sempre due problemi: realtà e forma esteriore dei sistemi politici; storia falsa e storia sacra. Si tratta di due fili conduttori che travalicano i millenni: più ampio è lo sguardo, meglio si capisce il fenomeno».

Per riuscire in un programma così impegnativo, si capisce, le distrazioni devono per forza essere limitate. Sulla porta del suo studio, nella casa barese, è riprodotto un cartello che recita «Zona sacra dell’eremo: silenzio, rispetto, decoro». L’ha affisso tanti anni fa il figlio, oggi a sua volta valente studioso, all’epoca poco entusiasta all’idea di un padre chino sulle carte. Una vita da asceta: non guida, a tavola quasi non tocca cibo, beve caffè rigorosamente senza zucchero, come tutti i veri amanti del caffè, ma se gli confessate qualche occasionale concessione a un cucchiaino di panna nella tazzina vi fulmina soavemente: «Ognuno è libero di sfogare come crede le sue perversioni».

Non si deve però pensare a un ascetismo da stilita. Canfora non solo si concede ai convegni più disparati, avendo cura di ottimizzare gli spostamenti in tour che abbiano una loro coerenza geografica, ma interviene anche nei più sperduti licei della Penisola per propugnare le cause scientifiche che gli stanno a cuore. Nonostante ciò, è tutt’altro che un professore inarrivabile. Sul sito dell’Università di Bari c’è il numero di telefono dove si può trovarlo nelle molte ore che vi trascorre, e c’è l’indirizzo email da cui risponde a chiunque, su tutti gli argomenti. Comunista mai pentito, vive con disincanto in un mondo che disapprova ma che marxianamente non desiste dall’analizzare, kantianamente dedito a fare quel che ritiene vada fatto, «come se…».

Sembra quasi che per lui il tempo scorra più lento. Ma come fa? «Mi ha sempre molto divertito il prontuario che scherzosamente Arnaldo Momigliano fornì per descrivere la sua giornata tipica. Col passare degli anni sono sempre più persuaso che le prime ore della giornata siano le più produttive».

Tutto qui? Troppo facile. Il segreto della mostruosa produttività «stakanforiana» è nell’immenso archivio sparso tra i corridoi di casa, la veranda e il nuovo studio allestito al piano superiore, nell’appartamento lasciato libero dalla figlia, dove il professore lavora godendosi la vista del porto di Bari. Qui confluiscono quotidianamente appunti, ritagli, fotocopie di testi antichi e commenti moderni, che via via organizzandosi tramite schede di raccordo e quindi specializzandosi danno vita prima o poi al libro fatto e finito. Un metodo, anche questo, che viene da lontano: «Paul Speck, grande bizantinista e docente a Berlino, dimostrò in modo brillante che il modo di lavorare di tanti autori bizantini consisteva nell’allestimento di “dossier” preparatori, tematicamente suddivisi, e non sempre approdati a una stesura per il pubblico. Un esempio celebre è il cosiddetto De administrando imperio di Costantino VII. Un altro esempio macroscopico è la cosiddetta Biblioteca del patriarca Fozio, un’opera monumentale, oggetto di una grande fatica collettiva, che non era destinata a lettori esterni, ma a una cerchia di redattori: sono 280 schedari, non 280 bignami. Probabilmente già Tucidide lavorava così, perlomeno a giudicare da quel che raccontò di lui un tardo biografo di nome Marcellino. Non molto diverso era il procedimento con cui Virgilio ha costruito l’Eneide».

Adesso a quali progetti sta lavorando? «Tre soprattutto. Il recupero delle Memorie di Augusto: si tratta di intere pagine che un notevole storico greco di età antonina ci restituisce - basta saperle cercare. L’altro progetto consiste nella ricostruzione delle più drammatiche giornate della Parigi giacobina: 31 maggio-2 giugno 1793. E infine, Per una storia del testo dei Quaderni di Gramsci: le novità fattuali intervenute in questi ultimi anni, anche grazie all’apporto dell’Istituto Centrale per il restauro, spingono verso una nuova ricostruzione».

Ma ormai è estate, anche per Canfora sarà tempo di vacanze… «Due mesi liberi da altri impegni, durante i quali si può operare al meglio. Il nostro lavoro è una continua vacanza. Si attribuisce a Benedetto Croce aver detto che la miglior forma di riposo è cambiare lavoro».

Maurizio Assalto


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