ebook di Fulvio Romano

mercoledì 31 luglio 2013

Riflessioni nel vigneto...

LA STAMPA

Cultura

riflessioni nel vigneto

Nel piccolo vigneto di uva barbera, le mani si muovono sui lunghi tralci, legano, sistemano, tagliano. Dalla mia postazione, mentre le mani si muovono indipendentemente dalla volontà, la testa vaga e lo sguardo si posa sul piccolo cimitero che vede riposare la mia famiglia: mio padre, mia madre, mia zia e suo marito, mio zio. Ricordo quando questo vigneto è stato piantato da mio padre e da mio zio, più di 30 anni fa, e io, ragazzina, avevo il compito di portar loro da bere: acqua zucchero e limone oppure un goccio di vino, quello buono, come ricompensa a tanta fatica.

Un giorno mentre bevevano, seduti su un carrettino che usavano per trasportare i pali e il fil di ferro, a mio zio cadde il bicchiere di vetro; si ruppe e saltò via un pezzo del bordo. Ricordo ancora il gesto: mio zio raccolse il piccolo pezzo di vetro e lo mise in tasca, perché nulla andava lasciato nel terreno, mentre il bicchiere danneggiato lo infilò su un palo del filare appena piantato. E quel bicchiere è ancora là. Mentre lavoro lo guardo, e il vetro riflette la luce del sole e quel bagliore parla di fatica, di sudore di lavoro. Dopo tanto tempo, con un lavoro che mi permette di vivere, sono qui a coltivare queste piante, perché penso sia un tradimento estirparle o lasciarle incolte. Il guadagno è praticamente nullo, ma mi è impossibile «lasciare» finché la salute lo permette. Mi piacerebbe, anche, passare il testimone a qualcuno che non renda vano il lavoro di due generazioni. A dimostrazione che per costruire qualcosa ci vuole tempo, pazienza, cura e silenzio. Poi ascolto il tg e sento che i più importanti marchi italiani vengono venduti ad aziende straniere. Siamo costretti a sopportare ogni giorno il teatrino di politici litigiosi mentre continua a perpetrarsi il tradimento di chi ci ha preceduto e ha lavorato duramente. Forse ho compreso perché continuo a coltivare questo piccolo vigneto; non voglio dimenticare la fatica, il disagio del sudore ma anche il piacere di una doccia e del riposo. È una cura che consiglio a chi ci governa: un mese di lavoro nei campi, tra polvere e zanzare, lezione di umiltà e di concretezza.

maestra di professione, contadina per passione

Adriana Giocondini


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