ebook di Fulvio Romano

venerdì 12 luglio 2013

Geremicca: Cosa pensa la base del PD

LA STAMPA

Italia

Il Pd

“Letta faccia qualcosa o lasci il posto a Renzi

Il loro duello è inutile”

L’ultimatum della base ai dirigenti “che stanno a Roma”:

“Basta alibi, la gente vuole risposte ai problemi concreti”

C’era una volta un partito - il Pd - che aveva una «base»: circoli, sezioni, iscritti, amministratori e una rete radicata sul territorio, dalla Sicilia alla Val d’Aosta. Quel partito c’è ancora.

E purtroppo per lui - o meglio: purtroppo per i «dirigenti che stanno a Roma» - c’è ancora anche la «base». «Per il 2013 puntiamo a 750 mila iscritti», ha annunciato ieri Davide Zoggia, responsabile dell’Organizzazione dei democrats: e non ha aggiunto, per carità di patria, che si augura che quei 750 mila - a fine anno - siano meno furiosi e disorientati di quanto lo siano adesso. Perchè adesso - tra l’alleanza con Berlusconi, un governo che arranca e la guerra senza quartiere tra le diecimila correnti Pd - in periferia (nella «base», insomma), l’umore è di quelli da analista: un insostenibile alternarsi di furia e depressione.

Un po’ qui e un po’ lì, proviamo a capire perché: e la foto di gruppo che ne esce, non è granché diversa da quel che si poteva immaginare. Le questioni che sconcertano iscritti ed elettori sono, naturalmente, quelle prevedibili: il patto col Caimano, il prezzo che paga il Pd e la rissa continua nel partito. I «dirigenti che stanno a Roma» penseranno di esser di fronte alle solite esagerazioni giornalistiche. Ma ora che la stagione delle Feste democratiche è cominciata, avranno modo di apprezzare dal vivo il nervosismo - per usare un eufemismo - che agita la «base». Da nord a sud, come vedremo. Senza eccezione alcuna.

«Sì, c’è smarrimento e molta insofferenza verso la cosiddetta “maggioranza anomala” - ammette Enzo Bianco, straordinario “riconquistatore” del Municipio di Catania -. E il Pdl, diciamo la verità, non fa nulla per aiutarci a digerire l’amarissimo boccone. Il disorientamento determinato dalla mancata vittoria alle elezioni e dalla gestione incerta delle partite sul governo e sul Quirinale - spiega Bianco, leader della corrente liberal del Pd - è stato un po’ mitigato dal risultato alle amministrative: una boccata d’ossigeno, ma non basta. Quello che la «base» ci chiede è voltare decisamente pagina: aprire porte e finestre nel partito, rinnovare la classe dirigente, tener botta e stare a schiena dritta nel rapporto con quello che da sempre considerano il “nemico storico”, Silvio Berlusconi».

Catania è Catania, uno potrebbe dire: città disperata. Altrove è diverso. Altrove è diverso? Vediamo l’Emilia, allora: civile, opulenta e da sempre regione «a sinistra». Dice Stefano Bonaccini, segretario emiliano del Pd: «Che non ci fosse alternativa al governo Letta, il nostro elettorato lo ha capito. Ora, però, o fa le cose indispensabili per rimettere in piedi il Paese o anche la comprensione dei nostri iscritti finirà. Non capirebbero il nostro sostegno ad un governo che non fa quanto necessario: così come non capirono il nostro sostegno alla fase finale di Monti». Non solo: «Io apprezzo molto il lavoro che stanno facendo Epifani e Letta: ma a loro dico che sulla riforma della legge elettorale bisogna muoversi in fretta: prima potevamo dire “non abbiamo la maggioranza per cambiarla”. Ora non più, e i nostri ci dicono: gli alibi sono finiti».

Alibi? E’ più o meno di alibi che parla Pasquale Cascella, ex portavoce di Giorgio Napolitano e ora sindaco di Barletta, conquistata dopo una battaglia che pareva impossibile vincere: «Naturalmente, vedo la sofferenza del nostro popolo di fronte all’alleanza con Berlusconi: ma non è il patto di governo con lui - dice - che ci impedisce di risolvere i problemi, precipitandoci in queste difficoltà. Quello che blocca il sistema, è la mancata soluzione di problemi strategici, a partire dalle riforme istituzionali: ed è questa la questione, al di là dell’emergenza economica, che il governo Letta deve affrontare. Quanto al Pd, vedo tutte le potenzialità di una figura come quella di Renzi, che è venuto qui in campagna elettorale e mi ha dato una grande mano: ma se semplifichiamo e pensiamo a lui solo perché è il miglior competitore da opporre a Berlusconi, siamo punto e a capo. Ma Matteo mi pare che questo lo abbia ben inteso...».

Critico, assai più critico, è Enzo Amendola che dalla sua trincea di segretario campano, dice che non c’è più molto tempo: «Quel che vedo quaggiù, dove chiude un’impresa al giorno e l’Indesit ha appena messo 500 persone per strada, è che alla gente non gliene frega niente del nostro dibattito interno: ci vedono come forza di governo e ci chiedono soluzioni, non chiacchiere. Quel che vedo, insomma, è una pericolosa distonia tra ciò di cui noi discutiamo e ciò che vuole il nostro popolo. Ci chiedono risposte: e assai più di quanto facevano al tempo del governo Monti, perchè oggi a palazzo Chigi c’è uno dei nostri».

Fare cose oppure mollare, insomma. E la parola d’ordine del «popolo pd», secondo Massimiliano Pescini - sindaco di San Casciano, in Toscana - è «attesa». «Il governo con Berlusconi è difficile da digerire, ma Letta dà sicurezza ai nostri. Il punto è che deve fare rapidamente cose, perché noi un anno di questo limbo non lo reggiamo. E c’è attesa anche per quel che riguarda il Pd: che succederà al Congresso? Anche qui in Toscana - dove lo scontro alle ultime primarie fu durissimo - ormai si è accettata l’idea che Renzi sia uno del Pd, per fortuna. Si può puntare su di lui per il rilancio: anche se uno scontro Letta-Renzi la nostra gente non lo capirebbe».

E dunque? «E dunque mi auguro che Letta faccia cose, altrimenti meglio staccare la spina - dice Roberto Rizzuto, sindaco di Villapiana, in Calabria -. Accusavano Renzi di avere un filo diretto con Berlusconi ma, alla fine, il governo col Cavaliere lo hanno fatto gli altri... Ora discutono di regole e regolamenti per ostacolarne il cammino. Ma stiano attenti: la nostra gente non capirebbe l’ostracismo verso l’unico dei nostri leader capace di sbaragliare il campo, qualsiasi competitor gli venga messo contro».

Questo pensa la base del Pd. Ne tengano conto «i dirigenti che stanno a Roma». Pena il rischio di gonfiare nuovamente le declinanti file grilline...

(1. continua)

Federico Geremicca


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